giovedì, maggio 31, 2007

Anna da non dimenticare


Anna Politkovskaja è stata uccisa nell'androne di casa, a Mosca, il 7 ottobre 2006. La sua morte ha emozionato il mondo civile, ma il tempo passa e inevitabilmente il ricordo di lei si fa labile, evanescente.
Il modo migliore per ricordare Anna è continuare a leggere i suoi scritti: la sua vita è stata dedicata a raccontare, nel suo stile asciutto da cronista, gli orrori della nuova "democrazia" russa.
In "Proibito parlare", è possibile ritrovare cronache recenti di quell'inferno dimenticato a due passi dall'Europa che ha il nome di Cecenia. Sono storie di città rase al suolo, di esecuzioni sommarie, di violenza spietata, di rapimenti, di stupri, di futuri spezzati, di miseria, di sopravvivenze da fantasmi. Di persone considerate come insetti fastidiosi, di famiglie da cacciare insieme ai figli perchè "la mela non cade mai lontana dall'albero". Di totale assenza di leggi, di diritti, di regole al di fuori della violenza.
Queste cronache fanno pensare a quanto sia labile ed incerto, in buona parte del mondo, il confine tra una vita normale e l'inferno. Uno vive in un posto che improvvisamente - come in questo caso - diventa il luogo in cui trovare il pretesto per farsi eleggere Presidente della Russia. Non ha colpe, non ha fatto nulla, ma improvvisamente arrivano i carri armati a buttare giù il palazzo in cui vivi, l'aviazione bombarda il mercato che frequenti, la soldataglia ammazza per puro piacere, rapisce, stupra. Nel giro di poco tempo non resta più nulla; lavoro, affetti, futuro, beni, tutto finisce in macerie. Se si sopravvive (ed in Cecenia si calcola che la guerra abbia ucciso duecentocinquantamile persone su un milione) si diventa fantasmi, e si può cercare scampo solo nel sollievo di una follia liberatrice, che stacchi ogni legame con il mondo degli uomini.
Il problema è che questo avviene sempre più spesso, nel mondo. Avviene in Africa, in Asia, in Medio Oriente, nel Caucaso, ma anche nel cuore dell'Europa, in Kossovo, dove è impossibile distinguere tra vittime e carnefici per i continui scambi di ruolo tra albanesi e serbi. Il pretesto è il potere del potente di turno, l'arma è l'odio coltivato con cura: contro una etnia, contro una religione, contro una "razza", non importa. L'odio seminato così continua a dare frutti per sempre, non avvizzisce mai.
Dilaga e diventa la cifra stilistica di questo modo di vivere che garantisce il tenore di vita dell'Occidente: il benessere di pochissimi costruito sul sangue, sulla rapina, sullo sfruttamento del resto del mondo.
Eppure, i fautori di questo modello insistono: tutto il resto (utopie, sogni, ideologie) è fallito, l'unica realtà possibile è questa. Denaro e potere sono gli unici idoli che resistono saldamente nel naufragio del sogno di un umanesimo basato sull'uguaglianza e sull'equità.
Quanto faccia schifo questo modello lo sappiamo bene, e se ce lo fossimo dimenticati basta leggere le parole di Anna e di molti altri che - solo per raccontarlo, questo schifo - vengono spazzati via come insetti, nel silenzio e nella indifferenza.
Possiamo ignorarlo: ma non possiamo credere che saremo salvi per sempre nascosti dietro questo paravento di democrazia declinante e malaticcia, non possiamo credere che un giorno non accadrà anche a noi quel che accade a tutti coloro che - per sbaglio, per caso - si trovano sulla strada scelta dal potere di turno per estendersi e consolidarsi.
E' gia accaduto, accade tuttora: accadrà sempre.
Se facciamo finta di non saperlo, se ci mettiamo la coscienza in pace e non pensiamo con forza che questo mondo va rifatto più o meno da capo, perchè così com'è fa veramente schifo...beh, allora dimentichiamoci pure di Anna e di quelli come lei. Sono morti davvero per nulla.

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